Questo tempo indeciso
si dilata e si restringe
come un maglione in lavatrice.
E io, più indeciso di lui,
mi altaleno nel ruolo
di servo e padrone.
Nella nebbia del
futuro
scorgo i tratti di un percorso
già tracciato e calpestato:
nuovi bivi, stessa
strada,
desideri e rimpianti
si impastano nella stessa torta.
Questo tempo mi scorre accanto e attraverso, incontrollabile mi trascina come una tempesta in mare aperto. mi cullo tra le sue onde fantasticando su cosa sarà.
Vedere centinaia
di commedie romantiche hollywoodiane ogni venerdì sera dall’età di dodici anni
ti porta a valutare come altamente
probabile la possibilità che in circostanze come questa un uomo sulla
trentina, dannatamente attraente, ti prenda sotto braccio, ti accompagni sotto
un ampio ombrello alla sua macchina e ti dia un passaggio a casa. Invece
l’acqua ti inzuppa i capelli, cola attraverso i vestiti e non c’è verso che l’autobus
si sbrighi ad arrivare. Ti assicuro che non c’è niente di sexy in tutto ciò.
L’unico complimento che ti viene rivolto, se così si può chiamare, è il rozzo
apprezzamento con tanto di fischiatina del primo camionista che passa davanti
alla fermata.
Maledetti
registi di Hollywood, maledetta industria cinematografica, con le sue stelle perfette, anoressiche e drogate,
maledetti i colpi di fulmine e le farfalle nello stomaco alla vista di uno
sconosciuto, perfetto pure lui,
maledette le frasi fatte e le battute ritrite, maledetto il ci siamo appena incontrati eppure mi sembra
di conoscerti da sempre, maledetto il lunedì e maledetta la pioggia. Potrei
andare avanti a lungo, soprattutto oggi, ma voglio risparmiare tutta l’energia
che mi resta per produrre calore e scongelare la punta delle dita e il naso. Maledetto
il freddo sotto zero e anche quello sopra lo zero.
Con una
predisposizione d’animo che non definirei tra le più adatte sono arrivata a
lavoro, in ritardo ovviamente, e lo
squillo del telefono in ufficio era un crescendo angosciante. Il numero di cose
da fare supera già di gran lunga il tempo disponibile per realizzarle ed è solo
l’inizio di questa giornata infernale. Levo il cappotto e la giacca zuppe e le
appoggio sul termosifone, vado per sedermi alla scrivania quando noto la
presenza di un intruso. D’istinto penso di essere nel pieno di un dopo-sbornia,
mentre fisso i miei occhi in quelli del gatto. Un enorme, obeso gatto nero con
una chiazza bianca intorno all’occhio sinistro se ne sta accoccolato sulla mia
sedia. Solo dopo qualche secondo e un pizzicotto, realizzo di essere sveglia e
noto il biglietto incastrato nel collare del tronfio animale, che non sembra
avere intenzione di schiodarsi presto dal mio posto.
Sei un tesoro!
(Per questo ti ho assunta)
prenditi cura di Maya,
sono al convegno ma torno per le 17
Ecco cosa ti frutta un master in
marketing: un lavoro precario da segretaria, sommersa da una valanga di
telefonate, che riceverai in piedi perché il gatto obeso del tuo capo ti ha
fottuto la poltrona. Mi chiedo dove sia finita la mia fata madrina, poi penso
che con la mia solita fortuna mi sarà toccata una fata fattona o alcolizzata
che dimentica i propri doveri.
-Ti aspettavo per le 8, ecco il
tuo caffè… E’ freddo.
-Grazie Tanya, secondo te se mi
siedo sul gatto capirà che deve levarsi?
-No, quel gatto è odioso! Sarebbe
capace di fare la spia con la padrona piuttosto!
Che poi i gatti a me non sono mai
piaciuti nemmeno se animati da Walt
Disney. Tutti i bambini avevano paura di essere lasciati da soli al buio?
Beh, io ero pervasa da brividi di terrore non appena mia sorella estraeva dalla
custodia la cassetta degli Aristogatti.
Per non parlare dell’istinto di fuga scatenato dall’immagine poco suggestiva di
44 gatti con le code allineate, in fila per sei col resto di due.
Perciò oltre al danno di essere trattata come un’inetta dal mio capo, subisco
la beffa di avere un gatto per collega.
-E fallo un sorriso ogni tanto,
alle 17 comunicheranno i fortunati responsabili in partenza per la convention
di Lione… Se vuoi un parere personale temo che il tuo look da miss maglietta
bagnata non sarà così efficace.
-Tanya, non è giornata. Non sono
in vena di battute. Non hai visto quanto diluvia oggi? Sono arrivata a piedi
fin qui.
-Per te non è mai giornata! Non
mi stupisce che qualunque ragazzo io ti presenti riceve un’importantissima
chiamata di lavoro a metà del vostro appuntamento e scappa senza nemmeno finire
la cena.
Tanya è la tipica ottimista da compensazione: sente il
pressante dovere di bilanciare la mia negatività, mostrandomi la bellezza della
vita. Organizza e mi coinvolge in uscite tra amiche in mezzo alla natura,
picnic, feste a sorpresa, feste a tema senza un perché, appuntamenti al buio,
in penombra e pure alla luce del sole. Finora i risultati scarseggiano, ma più
mi rassegno a vivere da outsider nella mia prospettiva di ribrezzo nei
confronti di pressappoco il mondo intero, più lei compensa con esasperanti
speranze per il futuro e una determinata voglia di farmi inserire nella cerchia
delle persone che frequenta (pressappoco tutto il mondo). E’ un circolo
vizioso.
L’ultimo ragazzo che mi ha
presentato, Giulio, era un biondino niente male, camicia bianca a righine
azzurre, orologio da polso enorme e quintali di profumo da 70€ a boccetta. Un
principe azzurro, se non fosse che nel corso dell’appuntamento (2 ore circa, il
tempo di una cena al ristorante lussuoso scelto da lui) ha ripetuto per 37
volte, le ho contate giuro, non per
vantarmi ma… Le persone narcisiste sono fastidiose, ma le persone
narcisiste che negano di esserlo e pretendono che sfoderi un’espressione
sorpresa e ammirata per ogni dettaglio della loro vita che inseriscono in modo
subdolo nella conversazione sono insopportabili.
Ripensare ad
appuntamenti-disastro simili non fa che rafforzare la mia nera previsione sul
futuro. Diventerò una triste gattara. Oddio, no. Una gattara senza gatti, però.
Una triste zitella inacidita in 50 metri quadri di appartamento.
-Inesatto. Hanno sempre finito la
cena, avevamo semplicemente punti di vista divergenti su… tutto.
-Ti sei mai chiesta perché il tuo
punto di vista diverge da quello di ogni altro essere umano? Ti lascio al tuo
lavoro e a Maya. A proposito, dov’è sparita?
La mia sedia è totalmente
ricoperta di peli neri, ma non c’è altra traccia di Maya. Il mio viso assume la
colorazione di un lenzuolo e penso che adesso
sono davvero fottuta.
-L’ho persa!
-Ma figurati, tesoro. Era qui 5
minuti fa, è un gatto non un ghepardo.
-Sempre di felini si tratta. Il
mio posto di lavoro attualmente dipende dal ritrovamento della gatta obesa, ti
prego dammi una mano.
Sono pervasa dall’angoscia.
Cammino a una velocità esasperata e guardo in ogni angolo alla ricerca di quel
muso baffuto. Faccio irruzione come una pazza nella sala fotocopie accanto al
mio ufficio, mi inginocchio e gattonando osservo sotto la scrivania,
dimenticando totalmente di non essere sola. Lorenzo Piani, addetto alle
vendite, 32 anni, non riesce a trattenere una genuina e fragorosa risata di
fronte all’imbarazzante scena di cui mi sono resa protagonista.
-Mi sono perso qualche nuova trovata
pubblicitaria dell’azienda, per caso? Gli impiegati a quattro zampe e gli
animali domestici alla scrivania… mi sfugge il messaggio sinceramente.
Sono un po’ confusa dal suo
immenso sorriso bianchissimo e la fantasia riprende con una serie di scene romantiche
di film dalla qualità cinematografica discutibile. Premo pausa e riemergo nella
realtà, dove la mia gonna a tubino si è sollevata a un’altezza indecente e per
alzarmi velocemente sbatto anche la nuca contro la scrivania. Un’umiliazione
continua. Mi porge la mano destra e con fare disinvolto, per quanto mi è
possibile, mi presento.
-Piacere, Sara Torrani, sono la
nuova segretaria
-In realtà cercavo solo di
aiutarti a uscire da sotto quella scrivania, ma il piacere è tutto mio. Sono
Lorenzo.
Maledetto il lunedì e maledetta
la pioggia, maledetto il mio capo e maledetta la mia fata madrina. La
situazione non fa che peggiorare.
-Scusa… Stavo cercando il gatto.
Ora lo prendo e ti lascio lavorare.
-Ho notato la sua presenza da
almeno 5 minuti, ma ti confesso che ho scarsa simpatia nei confronti di gatti
in sovrappeso, credo che lo stregatto
di Alice mi abbia suggestionato un
po’ troppo da bambino.
Ecco un risvolto inaspettato
della mia giornata assurda: scoprire che il mio punto di vista diverge da
quello della maggior parte degli esseri viventi, ma non di tutti. Ho finalmente
un argomento a mio favore per diminuire il processo di compensazione di Tanya.
-Non me ne parlare. Quando ho accettato il lavoro, evidentemente non avevo idea
di ciò che mi aspettava.
Accenno un timido sorriso e mi
affretto alla porta nella speranza di non dare nell’occhio per l’ennesima
volta. Desidero solo che si dimentichi totalmente di me, di ciò che ha appena
visto. Quanti impiegati lavoreranno in questo edificio? Come minimo un numero a
3 cifre. Faccio per uscire ma la sua voce mi frena.
-Spero di incrociarti di nuovo,
Sara. Magari senza gatti nei dintorni.
E di nuovo quel sorriso
disumanamente bello. Ricordami di insultare più spesso il mondo intero, se
questo è il suo modo di dimostrarmi che non è poi così maledetto. Sara 1,
maledetto lunedì 0. Maya comincia a fare le fusa tra le mie braccia e i suoi
occhi trasmettono una furbizia subdola e misteriosa.
-E’ inutile che mi guardi così,
non mi piaceranno mai i gatti!
Reggeva un capo dello
spago, quasi fosse il dono più prezioso che le avessero mai fatto. Le dita
strette intorno al cordino sbiadito e gli occhi fissi all’altro capo. Quando la
mano sudava e lo sentiva scivolare via, aggiungeva un piccolo nodo e vi si
aggrappava. Era stata un’idea di suo fratello, ma l’aveva accolta come un
ordine imprescindibile. Ogni proposta di Marco diventava legge, non perché
avesse un piglio autoritario, ma perché agli occhi Sofia ogni parola
proveniente dalla sua bocca era verità. Sapeva che Marco era in grado di
mentire, ma perfino le sue bugie erano per lei verità. Ogni sua parola era specchio della vita, della realtà da
cui Sofia doveva e voleva imparare. Era il suo modello di riferimento. Imitava
goffamente ogni suo gesto per sentirlo più vicino a sé, per avvicinarsi a lui
sempre più.
Era un caldo agosto e
trascorrevano quell’estate nella casa in montagna. Marco amava esplorare i
boschi e non riusciva mai a convincere sua sorella della pericolosità delle sue
spedizioni. Così optò per la prima cosa utile che trovò nello scantinato. Prese
le forbici un po’ arrugginite e tagliò un pezzo di spago lungo circa dieci
spanne.
-Non devi lasciarlo
mai, per nessun motivo.
-E se starnutisco e
devo soffiarmi il naso?
-Se non riesci a
soffiarti il naso con una mano, forse il mondo delle avventure non fa per te...
La provocava con uno
sguardo determinato.
-Non lo lascerò mai,
per nessun motivo.
Lo fulminò con occhi di
fuoco.
-Bene, non lo lascerò
nemmeno io… Pronti, via!
Un’ora dopo le foglie e
i rami secchi scricchiolavano sotto i loro scarponcini. Marco non si era
prefissato una meta, preferiva godersi il paesaggio e lasciarsi sorprendere da
ogni nuova cima che faceva capolino all’orizzonte. Sofia era costantemente distratta
da una cascata di pensieri che le impedivano di ammirare ciò che la circondava.
Era convinta di dover iniziare a preoccuparsi per il proprio futuro e
classificare le sue numerose ambizioni per raggiungerle al più presto,
obiettivo dopo obiettivo. Non aveva mai amato il ruolo della piccolina in famiglia ed era impaziente
di accorciare quello spago e raggiungere fianco a fianco suo fratello. Il suo
corpo non sembrava essere d’accordo, tanto che rallentò il passo e iniziò a
inciampare ogni volta che lo spago la invitava con un leggero strattone.
-Camminiamo da due ore,
non potremmo fermarci a riposare un po’?
-D’accordo,
avviciniamoci a quel masso laggiù e mettiamoci all’ombra.
Aprì lo zaino e tirò
fuori un telo, Sofia ci si sdraiò subito e lo occupò completamente, muovendo su
e giù le braccia spalancate a mo’ di angelo. Pochi minuti dopo Marco la
guardava, addormentata sotto un sole cocente, e pensava al carico di
responsabilità che gli era stato rifilato per il solo fatto ti essere nato otto
anni prima. E’ come se la propria data di nascita fosse in qualche modo profeta
di un destino segnato e regista autoritario del dramma che bisogna
interpretare. Non è che pretendesse chissà cosa, non era così stupido da
credere che la libertà sta nella vita priva di regole, ma avrebbe voluto
contestarne un paio, farsi concedere almeno l’opportunità di avere voce in
capitolo. Slegò lo spago dal proprio polso e, raggomitolandolo accanto alla
sorella, notò che anche nel sonno stringeva il suo. Respirò i ricordi d’infanzia
e pensò a come sarebbe stato senza di lei. Si pentì di desiderare una vita
diversa, perché le voleva un bene dell’anima e avrebbe fatto di tutto per
proteggerla. Desiderava il meglio per lei, eppure il peso dello sguardo di
quella bambina di nove anni lo schiacciava come una pressa. La sua fiducia
cieca e illimitata lo soffocava, l’amore ingenuo e sincero lo accusava
tacitamente di non essere in grado di ricambiare quel sentimento puro e
perfetto nella sua semplicità. Arrivò fino al fiume per una piccola esplorazione
in solitaria. Tornerò prima che si svegli, pensò. Giunse accanto al ruscello e
si accovacciò su un sasso nel tentativo di riempire la borraccia. Poi un ponte
di legno catturò la sua attenzione, la sua scarsa stabilità era inversamente
proporzionale alla sua capacità attrattiva. Si fiondò a osservarlo da vicino.
Nel frattempo Sofia si
svegliò e balzò in piedi, entusiasta e impaziente di tornare a esplorare con la
sua personalissima guida. Riacquistata piena lucidità, notò quell’assenza ai
suoi occhi imperdonabile. Si voltò in ogni direzione ma non vide traccia di
Marco, né del suo zaino. Era da sola nel bel mezzo del nulla su un ampio e
morbido telo con una promessa ancora legata al polso.
-Non lo lascerò mai, per nessun motivo.
-Bene,
non lo lascerò nemmeno io…
Quell’amore ingenuo di bambina lasciava già spazio a
un amore adulto: paziente e ricoperto di ferite. Si sdraiò di nuovo e richiuse
gli occhi, fingendo di dormire, nell’attesa di sentire i suoi passi pesanti
avvicinarsi.
Controllò che avesse gli occhi chiusi e riallacciò
la spago intorno al proprio polso. Poi appoggiò delicatamente una mano sulla
spalla di Sofia
-Dormigliona, è ora di ripartire… Coraggio. -Sono pronta!
Sono sul fuso di New
York o sono semplicemente fuso? Mentre il buio copre ogni angolo di vita, sorge l’alba sui miei dubbi.
Un’ansia di fuga spinge la mente lontano da qui, lontano da me, da ogni ruga. Poi mi immagino diverso, potrei essere migliore, vivo quello che non c’è e dimentico il grigiore.
Immagini in contrasto scorrono veloci sul vetro, le osservo senza capire, le guardo senza agire, ma la tentazione è forte.
Sono sul fuso di San
Diego o sono semplicemente fuso? Mentre il silenzio soffoca vivaci risate della sera, il rumore è assordante in me.
Un’ansia di fuga spinge la mente lontano da qui, lontano da me, da ogni ruga. Poi mi immagino diverso, potrei essere migliore, vivo quello che non c’è e dimentico il grigiore. Sono lontano e non sono mai partito, non so spiegarla ma è voglia di infinito.