I PESCI VEDONO NELL'ACQUA
MA NON VEDONO L'ACQUA
MA NON VEDONO L'ACQUA
Mi muovevo lentamente e sapevo che qualcosa non andava. Tutto
era diverso, eppure gli altri sembravano vivere indisturbati la loro
normalissima vita. Sfoderai un sorriso rassicurante, più per me che per il
resto del mondo. Infilai il cappotto e uscii. Mi aspettavo un freddo che
penetra le ossa, invece ero come coccolata da una strana sensazione di calore
sulla pelle. Riconobbi la canzone in onda alla radio in un negozio di oggetti
per la casa, mi intrufolai tra la folla impegnata a scegliere un paio di cuscini
nuovi abbinati al copridivano e vagai, perdendo tempo tra le lampade e le sedie
da ufficio. Una commessa dalla voce eccessivamente acuta e veloce mi propose
l’acquisto di un pouf a forma di pera ideale per la lettura, senza preoccuparsi
delle presentazioni. Probabilmente un’espressione molto perplessa si dipinse
sul mio volto perché rincarò la dose, velocizzando ancor di più le parole nella
descrizione di quell’oggetto immancabile e
convenientissimo. Finalmente scorsi
una lunghissima chioma di capelli nota e trovai una scusa per abbandonare la
commessa. Inizia a chiamare –Chiara? Chiara?! Chiara!
Mi suonava strana quella voce, come se non fosse mia. Mi
avvicinai e le toccai una spalla, ma non si voltò né ebbi l’impressione che mi
sentisse. Si allontanò, di spalle, e uscì dal negozio con due grandi buste di
carta. Per strada sentii di nuovo quel senso di calore provocato da una sorta
di abbraccio, uno strato di tessuto che mi avvolgeva tutta intorno. I lampioni
emanavano una luce fioca e non riuscivo a distinguere che momento della
giornata fosse. Decisi che era ora di cena per assecondare il mio stomaco e
varcai la soglia del primo fast food
dietro l’angolo. Mangiai con un’insolita lentezza, come nel tentativo di
memorizzare quel gusto apparentemente sconosciuto. E bevvi litri d’acqua nella
speranza di rinfrescarmi. Camminavo verso casa e il calore continuava ad
avvolgermi. I contorni della città erano sfumati, i volti dei passanti
affaticati e sfuggenti.
Mi sentivo improvvisamente così sola. Iniziai a correre più
veloce che potevo, ignorando le espressioni severe dei passanti. Volevo che
quella giornata grigia e insensata finisse in fretta e forse in quel modo
speravo di velocizzare il tempo. Mi fermai con le mani sulle ginocchia e il
fiatone. Ero accaldata, sudata, ma determinata ad andarmene. Trovai una
panchina per riprendere fiato e mi sedetti. Iniziai a provare una sensazione di
intensa paura. Cercai il telefono in ogni tasca, ma sembrava impossibile
chiamare aiuto. Stesi le braccia lungo i fianchi e tolsi le scarpe sfilandole
con i talloni. Ero sopraffatta dalla stanchezza, volevo tornare a casa. Chiusi
gli occhi e provai a concentrarmi sull’immagine di casa mia, della mia stanza.
Mi bastò riflettere qualche secondo su quello che stavo vivendo, quando un’illuminazione
mi colpì come uno schiaffo.
Era l’acqua a rendere tutto così confuso. Acqua ovunque,
intorno e sopra di me. Ero sottacqua. Com’era possibile? Come diavolo c’ero
finita? La nuova consapevolezza acquisita acuì la sensazione di calore che
avevo addosso fino a che mi sentii soffocare. Volevo fuggire, ma le strade
erano invase da una folla diretta controcorrente e io non riuscivo a
riconoscere la via di casa. Ero persa e sola. Non sapevo quanto ancora avrei
resistito in apnea. Come avevo fatto a non accorgermene prima? Le vene
pulsavano sotto la pelle, il collo si gonfiava. Le dita erano rosse e
insensibili, le gambe tremavano. Non ero più padrona del mio fisico, né in
grado di ribellarmi. Chiusi gli occhi e pensai che non c’era più nulla da fare.
Le forze vennero a mancare e mi abbandonai a quel tepore consolatorio come se
fossi in una vasca da bagno.
Bello spero che questa storia possa continuare =)
RispondiEliminaGrazie ancora, cara! Me lo auguro anche io :)
EliminaChe triste, ma per esperienza personale in ambito musicale le canzoni più belle della storia sono formate da storie ed emozioni tristi, sono scritte con accordi ti tonalità minori, forse sarà il caso, non lo so ma le cose da raccontare sono sempre le nostre paure e le nostre lreoccupazioni o i nostri problemi, personali o sociali ma sempre problemi. Forse è così anche nella letteratura.
RispondiEliminaConcordo! Non a caso un mostro sacro come Shakespeare (e non solo lui) sosteneva che "Art comes from pain"... La difficoltà maggiore però nella scrittura e nella musica credo sia trovare un giusto equilibrio per non finire a piangersi addosso piuttosto che far apprezzare la profondità e lo spessore di sentimenti come paura e tristezza.
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